MAROSTICA SENZA LE MURA: UNO SQUALLIDO AGGLOMERATO DI UN PAESAGGIO CEMENTIFICATO

Immaginiamo per un momento Marostica senza cinta muraria, quel segno che definisce un riferimento certo e visibile da lontano.
Essa scomparirebbe dalla corona collinare lasciando un vuoto nella ‘teoria dell’avvistamento’ che unisce punti contigui ad est e ad ovest lungo il limes pedemontano. Lascerebbe indifferente il transetto verso l’altopiano che segue il sentiero ‘Sette’ e tocca le diverse contrade di mezzacosta. I Carmini, da nucleo lineare confinato, si estenderebbero rafforzando la contrada ovest verso il Castello Superiore e quella est sul Pauso e Santa Maria. La città avrebbe un anfiteatro edificato in collina e il suo ecosistema cambierebbe volto, forse lo stesso clima.
Forma e struttura del centro storico principale si dissolverebbero, non più costretti da un limite, lasciando un nucleo dignitoso ma senza rango rispetto a Borgo Giara o a Borgo Panica. Una piazza senza confini impellenti tenderebbe a svuotarsi. Ma della presunta dignità rimarrebbe poco: forse soltanto la successione delle tre centralità su un naturale dorsale. Perché, senza ‘mar’, mancherebbe la cesura, la soluzione di continuità, che evita la commistione di aree centrali con l’espansione.
La cinta ha creato un centro definito e protetto, che, assieme agli altri due (di transito), ha sostenuto per secoli l’insediamento principale, la sua amministrazione, la residenza, la manifattura, l’agricoltura, il commercio e i servizi. In questo aiutata dalla genesi della città diffusa che nei nuclei rurali e nelle stesse case sparse trovava spunti di crescita per addizione e sostituzione. Una popolazione stazionaria, anche se socialmente dinamica e aperta ai rapporti con il mondo, avrebbe potuto essere accolta attorno a e negli insediamenti storici, anche a seguito di importanti dismissioni.
Ma ciò non è avvenuto, perché l’amministrazione pubblica, dalla seconda metà del XIX secolo, ha interpretato la sua missione urbanistica in modo peculiare, scegliendo un’altra strada.


Idea: Mari Scuro
Testo: Domenico Patassini
Foto: David Graham
Foto ritocco: Italo Baggio