LEZIONE DI STORIA: LA RIVOLTA DEL PANE A MAROSTICA

di Mario Scuro

l 1915 a Marostica si presenta durissimo.
Il popolo dei lavori della paglia, di fronte a fame, miseria, caro-viveri ed allo spettro della disoccupazione, il 13 marzo scende da Vallonara e da Valle e tumultua nella piazza di Marostica, chiedendo “la diminuzione del prezzo del pane e del sorgo [granoturco]”.  
Il 15 marzo è il giorno della sollevazione generale di tutto il popolo dell’Altopiano dei Sette Comuni, con la calata a Marostica.
Di primo mattino un numero impressionante di persone (stimate in 4.000: numero rilevante per gli abitanti di allora) si presenta davanti alle mura della città, chiedendo, insistentemente, “pane e lavoro”. Trovano Marostica – per la quale è stato dichiarato lo “stato di assedio” – sbarrata da carabinieri e soldati.
I dimostranti, ai quali si uniscono gli operai degli opifici, riescono a rompere il cordone dei militari e penetrano nella cittadella.
Assaltano la sede comunale (allora il Castello Inferiore), gli uffici pubblici, i mulini, le fabbriche, le abitazioni degli industriali, i quali si barricano nei loro palazzi, protetti da portoni rinforzati e inferriate alle finestre.
Particolarmente preso di mira è il complesso Menegotto. La ditta Menegotto, che gestisce l’antico mulino Bracco, con annesso un grande magazzino, distribuito tra fabbricati e terreni nel quadrante oggi identificato con via Tempesta, via Rialto, via Callesello, corso Mazzini, serviva per la macina e i prodotti delle granaglie tutto l’Altopiano dei Sette Comuni, la Pedemontana, il Canale del Brenta, spingendosi fino al Trentino, dotata dapprima di carriaggi, successivamente di automezzi.
Altro assalto viene effettuato, nella centrale via XX Settembre, a Palazzo Girardi (attualmente riedificato in corso Mazzini), simbolo dell’industria della paglia.
Ad un certo punto vediamo alla testa della sommossa una donna di Rubbio, femminista antesignana, la quale incita i dimostranti brandendo un baccalà, sottratto in un magazzino.
La forza pubblica ricaccia i rivoltosi fuori delle mura.
Nel pomeriggio, essendo ingrossato il numero dei dimostranti con sopraggiunti provenienti da ogni parte dell’Altopiano e dai comuni viciniori, interviene la cavalleria sabauda per disperdere la sommossa. La carica, dopo i rituali squilli di tromba, avviene a Porta Bassanese. È uno scontro molto duro, con gente esasperata che non mangiava da qualche giorno. Si registrano feriti e arresti.
Al Sindaco non resta altro che sequestrare tutto il pane ai fornai (altro pane arriva da Vicenza) e distribuirlo al popolo. Marostica resta occupata da 100 carabinieri e da 250 soldati in funzione di polizia.
Di fronte alla gravità della situazione, la Giunta ed il Consiglio si riuniscono nelle stesse due giornate dei tumulti per affrontare e decidere sul seguente o.d.g.: “Risoluzione dell’attuale crisi riguardante il rincaro del pane e delle farine”.
Premesso che “il Consorzio Agrario Governativo non ha dato alcun pratico risultato” e che “urgevano provvedimenti ad evitare disordini e a calmare la folla che invadeva gli Uffici Municipali e stava per trascendere” e che i dimostranti sono stati calmati con la promessa dell’istituzione di “apposita Commissione” e la “convocazione del Consiglio Comunale” per l’appunto, lo stesso Consiglio Comunale delibera all’unanimità (17 su 17 consiglieri presenti) “la vendita del pane a 40 centesimi e della farina di grano a 25; l’apertura di un conto con la Banca Popolare di Marostica o altro istituto di credito per lire 50.000, all’interesse del 6,50%; di sanare lo sbilancio mediante mutuo trentacinquennale da assumere con  la Cassa Depositi e Prestiti”.
Successivamente, il 9 aprile il Consiglio Comunale chiede un prestito di lire 9.000 all’Amministrazione Provinciale di Vicenza “per approvvigionamento di cereali necessari alla popolazione del Comune”.
“Il 18 marzo la città è tranquilla. La gente dei monti torna stanca e sfinita nei propri paesi, accompagnata da cavalleggeri e carabinieri”.
La guerra, che sarebbe scoppiata due mesi dopo e che vedrà Marostica “terra di frontiera”, aggraverà la situazione sociale ed economica delle nostre popolazioni.