A SCUOLA, SENZA MOSCHETTO E GIBERNA, CON IL MAESTRO GIUSEPPE FILIPPI, UN MAROSTICANO ESEMPLARE

di Mario Scuro

Ho avuto come insegnante il maestro Giuseppe Filippi, con il ritorno nella scuola del Capoluogo, dopo lo “sfratto bellico” nella fabbrica di cappelli di paglia Tasca a Sant’Antonio (l’edificio scolastico era requisito dal comando tedesco). Era la provvisorietà nell’opificio, anche per essere vicini al rifugio antiaereo del Pausolino, ove scappavamo ad ogni allarme della sirena posta sulla sommità del mastio del Castello, azionata dal sottostante Bepi Casagrande, all’avvicinarsi degli aerei alleati.
Usciti dal Fascismo, che mi impose la dura disciplina del “libro e moschetto, scolaro perfetto”, avendo come maestro Giovanni Gobbo, responsabile della cultura e dell’educazione fascista e che mi gratificò con il doloroso manrovescio ricevuto dal Federale in Castello, poiché io e altri miei compagni dileggiavamo le maestre che si presentavano a scuola e alle adunate con l’uniforme e con i prioritari doveri dell’Italia fascista, ebbi il maestro Giuseppe che proponendosi all’alunno con aspetto “umanitario”, seppe creare in classe un clima di “serenità, confidenza, partecipazione personale alla singola situazione familiare”.
Questo senza mai alzare la voce o sgridare, pur costretto all’immobilità della cattedra, a causa della sua malattia degenerativa degli arti inferiori.
Ciò ispirandosi agli ideali di Arpalice Cuman Pertile, ritornata sul campo didattico con i suoi testi e di cui la mostra aperta al Castello offre ampia testimonianza. Mostra da vedere con la massima attenzione ed ottimamente realizzata.

Nel periodo preparatorio alla mostra ho riletto i miei testi scolastici della scuola elementare degli anni Quaranta.
“Il balilla Vittorio” (testo di Stato) – “Oggi l’Italia fascista, l’Italia di Mussolini è l’Italia dell’ordine, della disciplina, della volontà di essere tutti degni di un’opera comune. È l’opera comune che è la grandezza della Patria, la prosperità delle nostre famiglie, delle nostre campagne, delle nostre città vuole una regola comune, osservata da tutti, che è appunto la regola fascista; così come l’universo ha la sua regola geometrica, la società le sue leggi, la lingua, la sua sintassi”… “Voi avete il privilegio di conoscere già il moschetto, e, quando verrà il vostro turno, sarete fra i più preparati. Ricordatevi sempre che cosa dice il decalogo del milite: – Il moschetto e la giberna vi sono stati affidati non per sciuparli nell’ozio, ma per conservarli per la guerra”… “L’Italia non la fanno i mozzorecchi, non i pennaiuoli…”.

Arpalice Cuman Pertile (dalla sua produzione letteraria) – “Non tradire mai la Verità, che è sacra!” (parafrasando il Manzoni: “… non tradire mai il santo Vero” – indicazione di stile di vita, ripetutami spesso durante le frequentazioni a casa sua, in corso Mazzini).
La scuola primaria del Capoluogo è dedicata ad Arpalice Cuman Pertile. Ricordo la controversa votazione, allorché la proposta – alternativa a quella del potere locale – vinse per un solo voto di scarto, attribuito, come risultò poi, all’errore di un’insegnante, la quale contravvenne all’indicazione del “santino” distribuito in precedenza.
La proposta da me sostenuta da anni di allargare la denominazione all’attuale istituto comprensivo, rappresentativo di tutta la scuola marosticana, ha, finora, trovato ostacoli. Marostica è, ancora, covo di rigurgiti fascisti?